Nel susseguirsi di notizie che evidenziano il pericoloso innalzarsi del livello di violenza verbale e fisica nella vita sociale e politica, sembra quasi irrealistico il richiamo di papa Francesco a recuperare la gentilezza come pratica in grado di trasformare profondamente lo stile di vita e le relazioni tra le persone. Eppure esistono uomini e donne che, nell’esercizio del proprio ruolo, hanno scelto di percorrere questa strada, sovvertendo la comune convinzione secondo cui le funzioni autorevoli devono esprimersi con rudezza ed un malinteso concetto di virilità. Due esempi citati da Riccarda Zezza in un articolo sul Sole 24 Ore del 23 ottobre scorso sono emblematici: il primo è quello della Prima Ministra neo-zelandese Jacinta Ardern, al suo secondo mandato; gli articoli che la riguardano fanno sempre riferimento alla sua “gentilezza” e la citano come prova vivente che una politica diversa è possibile. Non manca di decisione e fermezza questa giovane donna che, nel corso del suo primo mandato, ha affrontato un attentato terroristico, la pandemia di Covid ed è diventata madre; eppure tutti le riconoscono capacità di empatia, garbo, spirito di conciliazione. Il secondo caso è quello di un capo dei vigili del fuoco di New York che nel 2001, durante le operazioni di soccorso seguite al crollo delle Torri Gemelle, è salito su un camion e, dopo essersi tolto l’elmetto, ha invitato i suoi colleghi a fermarsi un attimo e a fare silenzio per onorare tutte le persone che quel giorno avevano perso la vita. “Un gesto semplice e inaspettato, che ha fatto sentire tutti vicini e compresi nella sofferenza che stavano provando, e che li ha fatti tornare al lavoro con più energia di prima.”
Ecco, persone che “si prendono cura”, che “sentono” la sofferenza e il bisogno dell’altro e li accolgono.
In una recentissima lezione di Educazione Civica rivolta a studenti delle scuole superiori, il Prof. Mauro Magatti ha offerto una interessante prospettiva di lettura della realtà attuale che apre spiragli di speranza e percorsi di lavoro per una rifondazione dei legami comunitari.
La modernità, caratterizzata dall’abbandono di relazioni comunitarie, alla ricerca esasperata della libertà individuale, ha prodotto una società costituita da particelle elementari, prive di vincoli, in un mondo globalizzato che sembra garantire la massima espansione e affermazione di sé;
Ma, in realtà, accanto all’evidente inaridirsi della capacità di volere bene alla realtà e agli altri io significativi, in quella sorta di “globalizzazione dell’indifferenza” di cui parla Papa Francesco, sono tanti i segnali che testimoniano una nostalgia, da parte dell’uomo post-moderno, di rapporti caldi e affettivamente intensi.
La terribile pandemia che stiamo vivendo ha fatto emergere la vera natura dell’uomo, che è relazione, costitutivamente; l’ombelico è il segno visibile del fatto che noi, prima ancora di diventare individui, siamo relazione.
Per affrontare un mondo sempre più complesso e le sfide che esso pone, occorre ripensare il significato del temine legame; citando il suo ultimo scritto, “Nella fine è l’inizio. In che mondo vivremo”, edito da Il Mulino, il Prof. Magatti parla di legame generativo:
“Che cosè il legame generativo? È il legame in cui ciò che ci scambiamo, ciò che passa dentro il legame non è il vincolo che noi imponiamo all’altro, ma il legame generativo fa circolare la libertà; il legame generativo è quello che non trattiene l’altro nella relazione, che non lo costringe nella relazione, ma si mette al servizio dell’altro perché l’altro possa a sua volta essere nelle condizioni di esprimere la propria libertà, detto che la nostra libertà, la libertà di ciascun di noi è l’elemento costitutivo della dignità dell’essere umano.(…)
Noi abbiamo fino adesso, nell’Ottocento e nel Novecento, insistito molto sul tema della liberazione, dell’io che si doveva liberare contro qualcuno, contro l’oppressore, contro la tradizione; adesso questo individuo liberato (…) è costretto a interrogarsi sull’uso che può fare di questa libertà.
Il legame generativo è quello che si assume la responsabilità non solo di slegare ma di rilegare, non solo di disfare ma anche di fare, non solo di scatenare ma anche di reincatenare, naturalmente con un vincolo: che tutto quello che noi possiamo fare, che mettiamo al mondo, che costruiamo, che facciamo, per non contraddire la libertà che ci muove deve avere come scopo ultimo di consegnare ad altri quella libertà che appunto ci costituisce.
Il legame generativo è un legame che ci obbliga reciprocamente a scambiarci la libertà; questo è un legame che ancora non c’è se non qua e là, è il legame che possiamo immaginare per ripensare le nostre comunità in un’epoca sconosciuta come quella che stiamo cominciando a vivere”
Si tratta, dunque, di un legame che costruisce spazi di senso, e ricrea in modo autentico le relazioni comunitarie.
La politica può ripartire da qui, da uomini di questa natura, che non hanno paura di quella che il mondo giudica debolezza; come dice il finale del film Wonder di Stephen Chbosky “la grandezza non risiede nell’essere forti, ma nel giusto uso della forza. È il più grande colui la cui grandezza trascina il maggior numero di cuori grazie all’attrazione del proprio.”