Nello stallo sia militare che diplomatico delle guerre in Palestina e Ucraina, appare sempre più necessario un risveglio della coscienza civile dei popoli che non stanno subendo quelle tragedie e che assistono impotenti a conflitti che appaiono irrisolvibili. È quanto si propone il Mean, Movimento europeo di azione non violenta (trovate qui una nostra intervista collettiva al portavoce Angelo Moretti) che, alla vigilia delle elezioni europee, sta presentando in tutti i Paesi dell’Unione la sottoscrizione di un manifesto per l’istituzione di un Corpo civile di pace europeo.
È una proposta che il Parlamento europeo ha già incluso nella propria agenda, ma di cui il Mean chiede l’attuazione pratica. A tal fine il movimento ha lanciato una sottoscrizione (che si può trovare sul sito projectmean.it) rivolta a tutti i cittadini e particolarmente ai candidati alle elezioni europee di giugno. Il Corpo civile di pace, spiega Marianella Sclavi, esponente di punta dell’attivismo sociale italiano e prima firmataria della proposta, «ha come scopo quello di prevenire le guerre grazie a interventi e azioni sistematiche nelle società civili che si trovano a rischio di escalation dei conflitti».
Sostanzialmente si tratta di mandare sul posto un numero adeguato di operatori in grado di aiutare gli abitanti di quei territori a progettare un futuro comune desiderabile «invece di rimanere vittime delle minacce e prepotenze delle opposte fazioni, ognuna delle quali accusa l’avversario di tutti i mali del mondo e si presenta come salvatore».
I corpi civili di pace non hanno dunque come scopo prioritario quello di portare aiuti umanitari, ma quello di permettere alla popolazione locale di trasformare i conflitti in corso in occasioni di protagonismo. A questo fine gli operatori, che sono in parte dipendenti pubblici e in parte cittadini volontari, hanno bisogno di una specifica formazione e di poter accedere a cospicui finanziamenti perché i progetti frutto di elaborazione collettiva vengano davvero realizzati.
«L’operatività dei Corpi civili di pace –continua Sclavi- viene garantita da due importanti condizioni politiche: un governo sovranazionale autorevole che all’interno del proprio territorio rivendica per se stesso e riesce ad imporre il monopolio della violenza fisica legittima e la presenza sul terreno in questione di una forza di polizia in grado di disarmare e imprigionare tutti coloro che intendono continuare a sparare e intimidire la popolazione».
L’Unione europea ha tali caratteristiche e nel panorama politico internazionale, scrive il Mean, «può porsi come un attore più autonomo e deciso in grado, in quanto tale, di porre fine alla escalation dei conflitti e la mobilitazione delle società civili europee è decisiva per mettere in primo piano questa rivendicazione. È il momento giusto per la creazione di un organismo che si occupi in modo permanente della gestione dei conflitti, un “esercito” di pace composto da personale di istituzioni e società civile e che sia complementare al corpo militare europeo che l’Unione prevede di realizzare a partire dal 2025».
Il Manifesto per l’istituzione del Corpo civile di pace europeo trae origine dalla conferenza organizzata dallo stesso Mean a Kiev e Leopoli il 15 ottobre 2023, dopo la giornata di preghiera interreligiosa svoltasi nelle medesime località ucraine il 14 ottobre (diamo conto della prima giornata nell’articolo La preghiera è un gesto di resistenza).
L’idea risale a una proposta fatta a suo tempo in relazione alla guerra nella ex Jugoslavia dall’europarlamentare altoatesino Alexander Langer; essa fu recepita in un rapporto del Parlamento europeo del 17 maggio 1995, in cui si affermava che «un primo passo verso un contributo nella prevenzione del conflitto potrebbe essere la creazione di un corpo civile di pace europeo». In un suo documento pubblicato qualche mese dopo, “Per la creazione di un corpo civile di pace dell’Onu e dell’Unione europea”, Langer precisa i contorni della proposta, basata sulla valorizzazione del ruolo dei civili nel prevenire o gestire i conflitti, auspicando che i governi e le istituzioni coinvolgano in modo strutturale professionisti, Ong e volontari, adeguatamente formati, per essere presenti nelle aree di conflitto al fine di favorire processi di dialogo e riconciliazione e, una volta cessati i combattimenti, per essere d’aiuto nella ricostruzione. È previsto che i membri dei Corpi civili, ad esempio, agiscano portando messaggi da una comunità all’altra facilitando il dialogo tra le popolazioni coinvolte, negozino con le autorità con un ruolo di mediazione, facilitino il ritorno dei rifugiati, promuovano l’educazione e la cultura dell’ascolto, ma anche denuncino fautori di violenze, effettuino servizi non armati di polizia locale, cooperino con le organizzazioni umanitarie attive in loco. I componenti dei corpi di pace, con ogni evidenza, dovranno avere adeguate motivazioni e competenze e, nella visione di Langer, «apparterranno alle persone più dotate della società».
Da allora, l’idea ha fatto strada. Nel 1999 infatti il Parlamento europeo la fece propria con una raccomandazione al Consiglio Ue, in cui si auspicava appunto l’istituzione di un corpo di pace civile europeo e si chiedeva l’elaborazione di uno studio di fattibilità. Di studi, commissionati ad altrettanti enti internazionali, se ne fecero due, nel 2004 e nel 2005; entrambi dettagliarono ulteriormente le idee di Langer di dieci anni prima. Nel frattempo, molte missioni di pace sono state organizzate da istituzioni internazionali che, per taluni aspetti, si possono ricollegare all’idea dei corpi civili di pace; l’ultima di esse, la Special Monitoring Mission promossa dal 2014 nel Donbass dalla Osce (la più importante organizzazione internazionale per la sicurezza e la cooperazione, costituita nel 1994 da 57 stati europei, del Nord America e dell’Asia), si è conclusa nel 2022 a seguito dell’aggressione della Russia all’Ucraina.
La conferenza del Mean del 15 ottobre scorso ha tratto spunto da queste esperienze, ma constatando anche che il potenziale dell’impiego di forze civili nelle varie fasi di una crisi, affiancando la diplomazia ufficiale con un’azione diplomatica dal basso, resta «tuttora in buona parte inesplorato», come ha detto Paolo Bergamaschi, già political advisor al Parlamento europeo. Per questo motivo a Kiev sono intervenuti alti funzionari dell’Osce, membri del parlamento europeo ed ucraino, esponenti di rilievo di amministrazioni locali ucraine e italiane, esponenti di organizzazioni della società civile, ed il nunzio apostolico a Kiev, che hanno tratteggiato le caratteristiche che dovrebbe avere e come dovrebbe operare una forza civile internazionale per essere fattivamente portatrice di pace e per garantire, in questi processi, il coinvolgimento degli abitanti di territori dominati dalla violenza.
Sono state raccontate esperienze di realizzazione di processi di riconciliazione, che possono dare un fattivo contributo a progettare interventi in grado di limitare la recrudescenza delle tensioni e di intervenire costruttivamente in situazioni di post-conflitto.
Un lavoro intenso e creativo, quello di Kiev e Leopoli, che ha già portato i primi frutti: una raccomandazione del Parlamento europeo del 17 gennaio 2024, in tema di diplomazia preventiva, che sottolinea «la necessità di istituire un Corpo civile europeo di pace che riunisca le competenze degli attori istituzionali e non istituzionali in materia di prevenzione dei conflitti, risoluzione e riconciliazione pacifica dei conflitti, al fine di rendere la gestione civile delle crisi dell’Ue più credibile, coerente, efficace, flessibile e visibile».
Ora si tratta di tradurre in pratica tali auspici e così di ridare un ruolo di pace all’Europa.
Paolo Signorelli
Passaggio chiave questo per la nostra tanto maltrattata Europa purché non venga fatto oggetto di strumentalizzazione da parte delle forze politiche