Sul secondo incontro della Scuola di pace
A Rondine Cittadella della Pace ogni studente trova il suo “nemico”.
Si formano così coppie di “nemici” che per due anni vivono insieme, nella stessa stanza.
Alessandra, 23 anni, russa, e Valeria 22 anni, ucraina, sono una di queste coppie. Sono venute nel piccolo borgo del Valdarno aretino da nove mesi e hanno raccontato la loro storia ai partecipanti alla Scuola di pace di Bergamo, voluta dalle Acli, dalle associazioni Bergamo incontra e Incontro e presenza e da Presente.info.
Ogni uomo ha i suoi “nemici”, siamo tutti «portatori sani di nemico», come dice Giorgia Bertolini, una giovane bergamasca che è diventata tutor dei progetti educativi di Rondine e che ha presentato le ragazze: «Non solo ognuno di noi percepisce l’altro come limite, ma questi effettivamente lo è. L’altro e l’incontro con l’altro è un’interruzione del nostro discorso, del nostro punto di vista, e ogni volta che facciamo un’esperienza di incontro con l’altro ci scontriamo con un punto di vista diverso».
Per questo Franco Vaccari, uno psicologo ispirato all’insegnamento di don Lorenzo Milani e di Giorgio La Pira, nel 1997 prese il piccolissimo borgo di Rondine, in provincia di Arezzo, e vi instaurò la Cittadella della Pace che accoglie giovani provenienti da nazioni in conflitto.
In questo momento ospita trenta studenti di venticinque nazionalità diverse, tra Europa, Africa, America e Medio Oriente.
L’idea di Rondine «è di offrire un tempo e uno spazio dedicato all’incontro con l’altro, avendo ben presente che l’altro è diverso e quindi anche inaccessibile», spiega Bertolini. E questa differenza può fare paura.
Infatti Alessandra e Valeria hanno motivato la loro decisione di venire a vivere quell’esperienza proprio a causa dei loro timori. «In Russia c’è molta paura di parlare – racconta pacata la prima –, io ho scelto Rondine per combattere la paura di incontrare qualcuno che sta sull’altro fronte. I miei amici e parenti hanno approvato la mia scelta, dicono che sono molto coraggiosa».
Valeria entra più nel dettaglio: «Rondine è uno spazio dove io posso liberamente, senza paura, parlare con il mio “nemico” per condividere la mia opinione, per capire la loro opinione e anche per combattere l’odio che è tra noi. Perché nella nostra vita quotidiana, nel mio Paese, come in Russia, è enorme l’influenza delle notizie, dei media. Ogni giorno c’è un bombardamento, e nella nostra testa qualcosa è cambiato, abbiamo assunto il punto di vista del potere. Per me invece era molto importante poter parlare senza questa influenza».
Quando Vaccari ospitò i primi studenti, ragazzi russi e ceceni in conflitto, racconta Bertolini «sorse, come spesso accade, un conflitto legato alla vita quotidiana, per cui nel momento in cui i ragazzi si sono trovati a utilizzare la stessa lavatrice, e quindi a lavare i panni sporchi nella stessa acqua una si è rifiutata di utilizzare la stessa lavatrice! Vaccari capì allora che il grosso del lavoro fosse da fare sulla relazione quotidiana e concreta, che passa davvero dalle cose piccole, dall’incontro di tutti i giorni, che arriva fino alla costruzione dell’altro come “nemico”. L’idea è che Rondine sia proprio un luogo terzo: ha perfino una lingua terza, l’italiano, per dialogare non si parlano altre lingue, nemmeno l’inglese».
Valeria annuisce: «Rondine non è una cosa magica. Non è che possiamo risolvere il nostro conflitto solo per il fatto che siamo a Rondine, no. Tutti noi crediamo che se possiamo iniziare da qualcosa di piccolo, nel futuro potremo fare qualcosa di grande. Io spero che l’esperienza di Rondine sia il nostro punto di inizio, una piattaforma che dà un’esperienza diversa».
Le giornate nel piccolo borgo toscano sono scandite dai ritmi tipici della vita studentesca: «Due giorni alla settimana – spiega Valeria – andiamo all’università, gli altri tre giorni sono dedicati ad altre attività di formazione: adesso, per esempio, facciamo un percorso sulle attività internazionali della Croce Rossa. La nostra giornata inizia con le lezioni, poi abbiamo il pranzo con lo staff e con i ragazzi del Quarto anno (un progetto formativo per ragazzi del penultimo anno di liceo, ndr.), perché è molto importante per noi condividere un posto anche quando mangiamo insieme; poi aiutiamo lo staff a pulire i tavoli, abbiamo turni di lavori domestici. Abbiamo anche la possibilità di andare via con le auto, anche questo è un motivo di conflitto -ride-. Qualche volta viaggiamo, qualche volta andiamo ad Arezzo solo per rilassarci, è a dieci minuti di macchina».
Ciò che conta a Rondine è il clima e l’atmosfera multiculturale nel quale si svolge la vita quotidiana: «La cosa bellissima – dice con entusiasmo Alessandra – sono le nostre diversità, quelle dei nostri Paesi, anche delle religioni, perché ci sono ragazzi e ragazze, cattolici, ortodossi, musulmani, e non religiosi. Per esempio, festeggiamo tutte le feste delle varie culture e religioni. Abbiamo fatto Natale e Pasqua due volte, ortodossi e cattolici. Tre Capodanni: 31 dicembre e 1° gennaio, e poiché c’è un ragazzo di Israele lo abbiamo festeggiato a settembre secondo la loro tradizione. E questa è stata la prima esperienza che ho fatto, quando siamo arrivati a Rondine: c’era il Capodanno ebraico, il ragazzo d’Israele ha preparato tutto il cibo per lo staff e per gli studenti, è stato bellissimo. Sinceramente io credo che queste cose piccole della vita quotidiana, tipo feste, cibo – la settimana scorsa abbiamo fatto un pranzo bosniaco, per esempio, perché c’è una formatrice che è un’ex studentessa di Rondine e ha portato un cibo bosniaco buonissimo – … tutte queste cose, piccolissime, chi fa turni, chi aiuta qualcuno, tutto questo può contribuire a trasformare i conflitti in un modo creativo. Noi non solo parliamo dei conflitti, delle nostre storie, ma anche condividiamo tutte queste cose, e questo è molto importante».
Uno dei presenti chiede un parere sulla Via Crucis al Colosseo nella quale una ragazza ucraina e una ragazza russa hanno portato la croce insieme, gesto che è stato anche molto criticato.
«Da noi è successa una cosa molto simile – racconta Valeria – c’è la Salita delle Bandiere, una strada che porta a Rondine dove sono esposte tutte le bandiere degli studenti che sono presenti. Non è una scelta politica, queste bandiere rappresentano gli studenti che ci sono in quel determinato momento. Ci sono anche bandiere di territori che non sono riconosciuti da tutti, come ad esempio Abcasia o Palestina. Quando noi siamo arrivati a Rondine ci è stato chiesto che cosa volessimo fare con le nostre bandiere, se mettere insieme quelle di Ucraina e Russia. Abbiamo fatto molti dialoghi con lo staff per trovare una soluzione, perché era davvero molto difficile. Se è vero che queste bandiere rappresentano noi studenti, in realtà rappresentano anche i popoli. Per il popolo ucraino è molto doloroso vedere la nostra bandiera vicino a quella della Russia. Anche perché quando la Russia arriva a occupare una città, la prima cosa che fa è cambiare le bandiere sui palazzi. All’inizio pensavamo che non potevamo mettere le due bandiere insieme. Abbiamo anche pensato di non mettere nessuna bandiera, né ucraina né russa. Dopo un po’, invece, il nostro pensiero è cambiato. Non è solo il mio pensiero e quello di Alessandra, ma di tutti i ragazzi russi e ucraini che sono a Rondine: le bandiere ci sono ma non vicine. Noi abbiamo raggiunto un accordo, ma per le bandiere di Abcasia e Georgia non è stato possibile, anche a causa di una protesta dell’ambasciata georgiana».
Un altro chiede: «Nel vostro Paese c’è la libertà di parlare, di agire?».
Valeria risponde subito: «Sì, ma la maggior parte del popolo ucraino non parla perché è pericoloso dire di non provare odio. Mi spiego meglio: odiamo il governo russo? Sì, al cento per cento. Perché quello che è successo è stata una cosa terribile. Ma la maggior parte di noi ucraini ha amici e una famiglia collegata alla Russia: non possiamo cancellare questo, ma non possiamo parlarne liberamente, perché c’è grande paura, davvero».
La libertà è più difficile in Russia, spiega Alessandra: «Dipende dai diversi ambiti. Per esempio, se parliamo dei media, sicuramente non c’è libertà. Niente, nulla. Se parliamo della vita quotidiana, noi possiamo parlare tra di noi. Ma, per esempio, se io faccio un post su Facebook o Instagram (che è bloccato ora in Russia) purtroppo c’è qualcuno che può trovare il mio post (ad esempio: “io odio la guerra”) e segnalarlo al governo o alla polizia e io posso ricevere una multa, anche salatissima, o perfino andare in carcere… Io come giovane russa voglio cambiare queste cose, ma purtroppo questa è adesso la nostra realtà».
Una delle presenti chiede: «Nella nostra mentalità, a volte pensiamo che per poter andare d’accordo bisogna comunque darsi ragione. Cerco di spiegarmi. Se tu dici che la Russia ha sbagliato a invadere l’Ucraina, allora possiamo diventare amici. Ma se tu pensi che il tuo Paese ha fatto bene a fare questa cosa, non c’è possibilità di andare d’accordo e di essere amici. Per voi la possibilità di vivere insieme passa attraverso il fatto che vi diate ragione, oppure è possibile cominciare un percorso lasciando fuori “chi ha ragione e chi ha torto”»?
La risposta di Valeria non è scontata: «Dipende dal tipo di studente… Ci sono due studentesse che all’inizio non volevano parlare del conflitto, forse perché avevano paura, oppure non sapevamo come fare. Invece altri già il primo giorno sono stati seduti a conversare. Rondine rende facile questo momento, perché scegliamo noi quando parlare. Ci è lasciato il tempo per prepararci a parlare del conflitto: ci sono cinque incontri dello staff con noi studenti, ogni incontro affrontiamo argomenti sul conflitto, anche noi abbiamo fatto una presentazione dei nostri punti di vista, prima in gruppi separati. Gli studenti russi hanno fatto una presentazione del loro punto di vista del conflitto che ci mette gli uni contro gli altri. Noi studenti ucraini abbiamo fatto lo stesso. Dopo ci siamo incontrati con lo staff e con gli altri studenti ripetendo la presentazione e ne abbiamo parlato insieme. Dopo questa conversazione abbiamo seguito una lezione con gli allievi del Quarto anno liceale. Tutto avviene nel rispetto dell’altra parte: in modo tranquillo, senza rabbia. Se non possiamo ottenere un punto di vista unico per tutti noi, ci sediamo e parliamo».
Non è affatto un percorso facile per tutti: «Per me e Valeria – racconta Alessandra – è stato molto facile, anche perché io sono d’accordo con il punto di vista di Valeria. Ma a Rondine abbiamo conosciuto una bella esperienza di due ragazze della Georgia e della Abcasia, loro hanno punti di vista assolutamente diversi e anche dopo due anni di amicizia, di amicizia vera, hanno lasciato Rondine con diversi punti di vista sulla loro guerra. Ma la loro è un’amicizia vera. È molto interessante anche per noi vedere come diversi tipi di persone e diversi tipi di mentalità fanno questi percorsi. Qualcuno ha bisogno di tempo più lungo, per noi sono bastati due o tre giorni».
L’incontro è giunto alla fine, è il momento dei saluti: «Valeria, tu tornerai in Ucraina. Se potessi parlare con Zelensky che cosa gli diresti?».
Valeria abbassa gli occhi, fa una lunga pausa di silenzio. Poi li rialza e guarda in faccia l’intervistatore: «Gli direi “grazie!”». E poi un’altra pausa, la voce è più commossa: «Grazie per il suo lavoro per noi. Poi non so, forse gli direi: C’è un posto in Italia… se potessimo mandare più gente dall’Ucraina a seguire questo percorso, sarebbe bellissimo per chi come noi vuole essere responsabile del proprio futuro».
La stessa domanda, rivolta ad Alessandra, ed è ancora più imbarazzante: «Che cosa diresti a Putin?».
Alessandra sorride: «Io gli direi che… venti anni a fare il Presidente è troppo… scherzo… In realtà io gli direi che è molto importante per il governo ascoltare e provare a capire il popolo, gli direi di sentire il popolo. Perché il popolo russo non è solo la nazionalità russa, ci sono tante regioni diverse, per esempio nella mia parliamo russo ma abbiamo anche una nostra lingua, e ci sono tanti altri posti così, e in altri le persone sono storicamente ucraine. È molto importante capire e ricordare che il popolo è la realtà più importante di un Paese».
Rondine è troppo piccola per contenere tutti i russi e tutti gli ucraini. Ma se potesse… Se potesse, tacerebbero le armi e finalmente parlerebbero i cuori.
Mario Bonati
Marcello Raimondi