Abbiamo ricevuto tra i commenti all’articolo Un popolo senza casa l’accorato testo che segue. Apprezziamo ogni posizione argomentata e ogni critica, se civile e meditata (oggi così raro sui social). Pertanto lo riportiamo quale articolo, con, a seguire, la nostra risposta.
Non esiste più il popolo cattolico. Questo il vero problema
Caro Emanuele, spero che nonostante la asprezza di alcune mie affermazioni questo commento non sia letto come polemico ma come addolorato.
Raramente mi è capitato di leggere un giudizio così radicalmente distante dal mio su una determinata circostanza, espresso da una persona mia coetanea che ha vissuto lo stesso cammino ecclesiale di educazione alla fede e all’uso della ragione che ho vissuto io.
Essendo tuo ospite non mi dilungherò a “confutare” punto per punto le tue affermazioni: non sarebbe utile e non è l’aspetto che mi sta a cuore evidenziare.
Mi limito a dire – per inquadrare la questione – che io, come tanti altri ciellini e più in generale cattolici provenienti da decenni di militanza moderata prima nella DC poi nel Centrodestra, non sono affatto convinto che “la stragrande maggioranza degli italiani avrebbe volentieri evitato” di andare a votare, anzi! Allo stesso modo non vedo questo “grande risultato” consistente nella “coesione di intenti”, laddove ho visto in questi anni famiglie e corpi sociali disgregarsi e dividersi davanti a mascherine e green pass, didattica a distanza e vaccinazione “obbligatoria”, armi all’Ucraina e aumento delle spese militari. Parli di “crescita sorprendente” per il nostro Paese, ma l’unica crescita, niente affatto sorprendente, che registriamo al termine di questi ultimi tre anni è quella dell’inflazione, del debito pubblico, del numero di aziende che chiudono, di famiglie che scendono sotto la soglia di povertà e del costo abnorme dell’energia. Dal 2018 a oggi l’Italia – che già prima non era messa bene – ha fatto passi da gigante in direzione del baratro economico e sociale, da cui ci trattiene per ora solo un prestito “monstre” dell’Unione Europea (garantito dalla credibilità di Draghi che è un loro uomo) che le future generazioni dovranno ripagare a condizioni che non oso nemmeno immaginare.
Anche il mio e altrui giudizio su Draghi e Mattarella è diametralmente opposto al tuo. Sul fatto che l’ultimo governo sia stato fatto cadere per calcoli elettorali e “populisti” non discuto, ma non dimentichiamo che questo governo – lungi dall’essere espressione della volontà degli elettori – è stato un “Governo del Presidente” presieduto da un tecnocrate, e dunque imposto per ragioni di equilibrio dei conti dello Stato a garanzia dei creditori. È stato, cioè, un’anomalia del sistema democratico, tanto quanto lo stato di guerra o lo stato di emergenza: a volte è necessario, ma non è l’ideale e appena si danno le condizioni per tornare nell’alveo di una democrazia compiuta occorre farlo. E se un Parlamento non è in grado di esprimere una maggioranza coesa si va a votare.
All’ultimo Meeting di Rimini è stato evidente che per gli organizzatori e per diversi militanti e partecipanti “la maggioranza degli italiani […] in forma silenziosa ma decisa ha sostenuto il realismo di questo ultimo anno”, ma altrettanti sono stati – tra gli amici e i tradizionali frequentatori del Meeting – quelli che non hanno affatto sposato questa opinione.
Per venire al punto: è evidente che nella comunità cattolica italiana si sia aperto un fronte di divisione tra coloro che sposano il “realismo” (che consiste nel sostenere chi è al potere, pensando così di ritagliare uno spazio di manovra per la Libertas Ecclesiae) e chi si mantiene fedele ad una visione ideale che accetta di essere minoranza e fuori dalle stanze del potere, se il prezzo per entrarvi è rinunciare alla propria identità. Questa divisione c’è a livello di cardinali e vescovi (basta vedere come sia stato abbandonato dai suoi confratelli il Card. Zen, sotto processo in Cina, e prima di lui il Card. Pell in Australia, in nome della Ragione di Stato e del “realismo”), di sacerdoti, di movimenti ecclesiali, di singole persone. La mia tesi dolorosa e niente affatto compiaciuta è che non è vero che esiste un popolo, ancorché incerto e confuso come tu dici, e che manchi la “casa politica” per questo popolo (volendo una casa ci sarebbe, ma il “realismo” fa si che si preferisca stare in affitto in varie case altrui invece che cercare di abitare e far crescere questa casa…), ma che sia venuto a mancare proprio il popolo. Certo, ci sono ancora qua e là esempi di solidarietà, di attenzione ai deboli, di capacità di mettersi in gioco e rischiare nel settore della scuola e dell’impresa, ma questo popolo di cui parli è svanito nel momento in cui si è accettato che persone perdessero il lavoro per un green pass che non garantiva nulla, nel momento in cui si è cominciato a pensare che le unioni civili fossero solo una risposta imperfetta ad un bisogno vero (lettera di Carrón al Corriere del 24.01.2016) o che la Legge 194 sia un pilastro della vita sociale (Mons. Paglia, Rai3 28.08.2022) e non vada toccata ma solo applicata nella prima parte (Maurizio Lupi, Radio 24 23.09.2022). È venuto a mancare, questo popolo, quando davanti a quanto accadeva in Inghilterra a Charlie e ad Alfie, alle Sentinelle in Piedi, al DDL Zan, ai Family Day si rispondeva dicendo che non bisognava essere divisivi e che il vero tema di incontro con l’uomo del XXI secolo era il bisogno sociale.
Non mi sorprende che i parlamentari di provenienza ciellina abbiano sostenuto o non abbiano combattuto a dovere politiche disumane e contrarie alla dottrina cattolica in nome di un “realismo” che avrebbe lasciato aperta la porta a collaborazioni nel settore del Banco Alimentare, delle opere a favore dei poveri e dei carcerati, o delle “nostre” scuole e delle “nostre” ONG (che ormai non sono più “nostre”, giacché lo stesso Spirito del Mondo fatto di “dialogo e discernimento” le ha in buona parte fagocitate). Allo stesso modo non mi sorprende che molti ciellini in questa tornata elettorale ritengano sano e giusto votare per l’azionista Calenda (che stava per fare l’accordo con +Europa della Bonino) e per il cialtroncello Renzi, “padre” orgoglioso delle unioni civili. Non mi sorprende perché è venuta progressivamente a mancare la capacità di giudicare – insieme – la realtà a partire da quell’Avvenimento che ci ha messo in unità, rendendoci popolo, talché tu ed io che veniamo dalla stessa storia ci troviamo oggi a giudicare la realtà in modo diametralmente opposto, e questo negli ultimi anni è stato persino presentato come un “di più”, un affrancamento da presunti “ordini di scuderia”. L’enfasi data alla personalizzazione della fede, non accompagnata a mio avviso da una fedeltà ad una storia comunitaria e popolare che si era costruita negli anni a partire dal dono dell’unità, ha portato alla diaspora politica e culturale che è, prima di tutto, diaspora del giudizio.
Il problema dunque non è che manchi la “casa politica” per il popolo. Il problema è che è venuto a mancare il popolo. Preghiamo insieme lo Spirito che i tempi futuri possano vedere la rinascita di un popolo a partire dal riconoscimento dell’Avvenimento presente che ci ha preso e ci ha messo insieme.
Un caro saluto
Lorenzo Colonna-Preti
Un popolo ancora (r)esiste. Io e te lo siamo costruendo
Carissimo Lorenzo, scusa il ritardo della risposta ma la settimana è stata davvero impegnativa e proprio per l’intensità della vita di quel popolo di cui nell’articolo e nella tua risposta abbiamo parlato.
Mi spiace per l’amarezza di cui parli, che non mi sovviene invece leggendo le tue considerazioni, pur antitetiche alle mie. Perchè la nostra speranza non nasce dalle valutazioni politiche o culturali, bensì da qualcosa di ben più profondo che non potrà mai essere scalfito nemmeno da errori o da ottundimenti nel giudicare la realtà. Per cui, liberi da qualsiasi attribuzione di patenti di ortodossia di giudizio, entro nel merito di uno o due dei tanti temi che sollevi (impossibile trattarli tutti, pena scrivere romanzi!).
In particolare mi sembra interessante la tua valutazione di come stia l’Italia oggi. Concordo ampiamente sullo stato di crisi che attraversiamo, e da tempo, aggravato da Covid ed emergenze varie. È una crisi culturale, prima ancora che relativa ad altri aspetti (sia economici che etici o psicologici) ed è inscritta nella carenza di una visione dell’uomo in grado di far emergere tutta la sua dignità e levatura. Su questo hai pienamente ragione ed è la grande battaglia che va compiuta, senza demordere. È una situazione che perdura da decenni (Pasolini docet) ed è la condizione in cui di fatto siamo immersi.
Nella fattispecie di quanto è accaduto in questi ultimi anni, accanto alle fragilità strutturali di una umanità depotenziata, si sono risvegliate tuttavia energie importanti. È esperienza concreta (e personale, fonte come ti dicevo del poco tempo che ho avuto nel mettere mano a questa doverosa risposta) lo sperimentare da una parte l’ intensa e talvolta drammatica domanda di tanti e, dall’altra, anche la possibile costruzione di relazioni nuove tra le persone.
C’è un popolo vivo.
È un dato che molti sperimentano nella loro quotidianità attraverso un impegno nella vita su vari fronti. Non entro nel merito di un’analisi articolata (se ne potrebbe fare un articolo o una serie di articoli a sè, ma basterebbe leggere cronisti attenti quali Riccardo Bonacina, Mario Calabresi e tanti altri). Mi limito al mio orizzonte personale, sicuro che tanti di coloro che leggono (tu stesso) potrebbero raccontare fatti simili. I 23 ragazzi adottati a distanza dalla mia scuola in giro per il mondo grazie ad AVSI (onlus che opera nelle zone più disastrate del mondo) per l’appassionata iniziativa di alcuni insegnanti e studenti (ben 50 “volontari” di una piccola “onlus” in miniatura), iniziative culturali come le conferenze di filosofia delle Romanae Disputationes, che accendono le menti di oltre 100 studenti in una scuola statale come la mia (e oltre 4mila in tutta Italia), le relazioni rinnovate e libere tra decine e decine di insegnanti, desiderosi di incontrarsi dopo le limitazioni del famigerato virus, sono segni concreti di una umanità che non solo è viva, ma terreno fertile per accogliere il seme di una speranza. Occorre incontrare questa domanda con la fiducia di una speranza presente, liberi da ogni schema, attenti all’oggi e alle ferite di una umanità, straziata ma non defunta, pronti a constatare (e collaborare con) la presenza di un Mistero che non abbandona l’uomo ai suoi destini.
Dal punto di vista dei dati economici e politici citati (in forma generica) nell’articolo e che ti hanno fatto dissentire, sono presi dai più autorevoli osservatori nazionali e internazionali e condivisi con tanti che fanno parte del popolo di cui siamo anche noi due piccola e variegata espressione.
Noi italiani potevamo tracollare a fronte di sciagure così gravi e non è accaduto. Questo occorre dirlo e ricordarlo. Ed anche andare a capirne le ragioni. In questi anni, anche durante il Covid, ho intervistato decine di aziende che si sono rimesse in moto (anche grazie a precise scelte politico amministrative nazionali ed europee), resistendo alle difficoltà e cogliendo nuove opportunità. Ho intervistato decine di realtà di volontariato che hanno risposto in forma energica alle tragedie. Inoltre ho riscontrato nei miei alunni una tensione (poco capita talvolta dai loro stessi docenti) volta a realizzare il loro compito di studenti e di uomini, dai cui ho imparato molto (vedi qui un piccolo ma significativo esempio).
Questo, e concordo con te, non significa che tutto sia a posto e che non si aprano nuove terribili sfide, ma non possiamo prendere i problemi incombenti trasponendoli sulle vicende passate, così come prendere crisi secolari come elemento di giudizio univoco sul dato presente, senza coglierne le sfumature, i sussulti, gli elementi di novità.
Detto ciò credo utile andare a constatare come la volatilità della politica di questi anni (partiti che nascono e muoiono in pochi attimi) indichi appunto l’assenza di credibili luoghi capaci di dare vigore alle energie costruttive presenti ancora tra di noi. Il risultato delle elezioni, dove il partito maggioritario è l’astensionismo, ne sono una prova. Peraltro l’analisi del dato elettorale, oramai alle spalle, è di grandissimo interesse viste le variabili del voto (giovani che hanno votato in maniera differente dalle altre generazioni; sud e nord; città e provincia, ecc.). Analisi dei dati che è ricca di spunti e significati che andranno studiati a fondo.
Procediamo, instancabili, in questa costruzione fuori da ogni schema e pronti a cogliere ogni sussulto di bene nascosto tra le pieghe della storia, fin anche in ogni opinione ed analisi, come le nostre due, lontane nei dettagli ma vicine nella passione per l’uomo, consapevoli che non sarà il nostro “analizzare” a cambiare le cose, ma l’ascolto di una domanda che apre ad un cammino.
Emanuele Polverelli