Tra pochi giorni saremo chiamati a votare. Un voto che la stragrande maggioranza degli italiani avrebbe volentieri evitato.
In una recente redazione allargata di Presente.info si è descritto il grande risultato che l’Italia ha ottenuto in questi anni terribili: una coesione di intenti, una capacità di “tenere la strada” in mezzo ad eventi terribili che avrebbero potuto causare pericolosi derapage, un popolo che ha mantenuto capacità di solidarietà. Non a caso il nostro paese è in una fase di sorprendente crescita, malgrado i rovesci parlamentari.
Che l’Italia abbia “tenuto” non è cosa da poco.
Sintesi di questo desiderio di coesione e di pensiero costruttivo è stato proprio il governo Draghi, fortemente voluto dal presidente Mattarella. Questi, di fronte ad una inazione imbarazzante dei partiti, ha agito con coraggio e forte spirito istituzionale. Potremmo dire da vero popolare, lontano da ogni populismo.
Ebbene, questa energia generativa che gli italiani hanno dimostrato e che le istituzioni hanno consolidato è stata abbattuta da tre partiti, dando dunque di fatto ragione all’unica opposizione, lasciandole in mano l’inerzia della storia. Se si va a guardare più da vicino, questi partiti erano proprio “quelli del fare”, quelli “contro le burocrazie incapaci di agire”, quelli “contro l’autocrazia della politica”. Ed ora, in piena emergenza post covid e di guerra, anticipano le elezioni di pochi mesi, a fronte di un inverno che si presenta “siberiano”.
Paradossi italici.
L’elettore di centrodestra, l’elettore più attento ad una “politica del fare”, non può che essere sgomento di fronte a questo spettacolo.
Il centro destra ha perso la sua natura originale, per orientarsi dapprima verso quel populismo pasticcione ed incoerente impersonato dal salvinismo, ben lontano peraltro da una pratica amministrativa leghista che talora ha dato buoni risultati, per poi accodarsi alla assai più coerente (ma altrettanto disincarnata) strategia politica, cazzuta e dalla forte Vox, della Meloni, solo in parte mascherata da una stentata e poco credibile patina di moderatismo atlantista.
Che può fare dunque l’elettore che sempre è stato di centro, che aveva sperato di “non morire comunista” grazie all’intraprendenza in politica di Berlusconi? (Pertugi di speranze, poi dispersi tra i fumi di una ondivaga e inconcludente azione connotata da tanta timidezza politica quanto più sfacciata e volgare risultava l’ostentazione comunicativa).
Qui si disegna il dramma (speriamo non la tragedia, e riteniamo che non lo sarà) di questa tornata elettorale.
Sul fianco sinistro le cose non vanno di certo meglio, vista la scellerata decisione di Letta di abbandonare la sua iniziale linea di difesa del realismo draghiamo a favore del far legna con i voti della sinistra più turbolenta ed ideologica.
Il vero dramma è dunque dato dal fatto che la maggioranza degli italiani, che in forma silenziosa ma decisa ha sostenuto il realismo di questo ultimo anno, non ha alcuno spazio politico, aprendosi così il serio rischio di una vittoria delle grida populiste di destra, più che non di sinistra (ma poco cambia).
A fronte di questa situazione, che appare desolante, resta che un popolo non lo fanno i partiti. Se è vero che talvolta, è il nostro caso, un popolo non fa i partiti (tutto da studiare questo vuoto della politica a cui la Chiesa guarda con grande preoccupazione, come testimonia un rinnovato e continuo richiamo volto ai fedeli perchè ritrovino il gusto di un impegno nelle istituzioni), certo è che i partiti non fanno il popolo.
Un popolo già c’è, sebbene incerto e confuso, ed è pronto ad agire laddove il bisogno si fa più chiaro. Si pensi alle imprese, ai tanti che hanno reagito alla crisi con energia, onestà e creatività nel proprio lavoro (ospedali, scuole, ma anche in ambiti insospettabili), alla capacità creativa dei giovani, all’esercito del volontariato che continua ad essere uno spettacolo di valore eccezionale.
Questo popolo è senza casa politica.
Forse il risultato più interessante non sarà l’esito del voto. Ma l’accorgersi che occorre di nuovo costruire una casa del popolo, non più connotata da rossa ideologia, nè da squallidi slogan identitari, ma da sano realismo e senso di appartenenza.
Un popolo c’è. Il compito è costruirgli una casa politica.
Perchè, onestamente, in questo momento, non solo questa casa non c’è, ma mancano persino le fondamenta e le linee guida progettuali.
Un bel compito che questa tornata elettorale lascia in mano a tutti noi, senza alcuna possibilità di deroga.