La caduta del governo Draghi ha creato sconcerto e sgomento nel popolo italiano. A gran parte della gente sono sfuggiti i motivi reali di una crisi nel bel mezzo dell’estate, proprio mentre il governo stava profondendo lo sforzo maggiore per varare le riforme che hanno risollevato l’immagine dell’Italia agli occhi del mondo.
Così il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha dovuto sciogliere le camere in anticipo e chiamare gli italiani a insolite elezioni settembrine. Lo scenario di un’astensione in massa degli elettori, disorientati dagli eventi e impossibilitati a comprenderne le ragioni anche a causa di un tempo limitatissimo per la composizione delle liste e per la campagna elettorale, è più che probabile.
Nelle reazioni che si sono succedute tra i commentatori italiani e stranieri ha prevalso una sorta di disillusione nei confronti non solo della politica nazionale, ma anche del popolo italiano che la esprime: si denuncia una democrazia malata, che da troppo tempo si fa illudere da demagoghi di secondo rango, salvo destituirli bruscamente nell’arco di nemmeno una legislatura, quando alla prova dei fatti essi si rivelano incapaci di mantenere le promesse che li avevano portati al potere.
Non ci si sofferma a considerare invece il fatto che gli italiani abbiano espresso un consenso amplissimo al governo di unità nazionale e al Presidente Mattarella che lo ha ideato, non solo per il prestigio di Mario Draghi, ma proprio per l’unità raggiunta tra l’ampia maggioranza dei partiti che lo hanno sostenuto.
Gli italiani, sbrigativamente accusati di individualismo e corporativismo, hanno viceversa premiato la ricerca dell’unità più che la difesa di visioni particolariste e privilegi. Il forte disappunto registrato tra la popolazione per la fine di questo largo accordo ne è la conferma.
La stragrande maggioranza del nostro popolo ha sopportato con disciplina le restrizioni draconiane imposte dall’emergenza sanitaria causata dal Covid e ha subìto con responsabilità la crisi economica causata dalla guerra in Ucraina. Non l’ha fatto, come troppo spesso si è detto, per paura, ma per un attaccamento di fondo a questa comunità di destino che è l’Italia.
Anche il patto che ha dato vita al governo Draghi e alla seconda presidenza Mattarella si è costruito sulla stessa visione di comunità da parte delle forze politiche.
È stata un’unità fondata sulla positività, non sull’emergenza.
È bene ricordare gli apporti positivi che i partiti hanno fornito.
Innanzitutto la priorità della difesa delle persone dall’epidemia di Covid. Ciò ha comportato la messa in campo di politiche sanitarie, assistenziali, organizzative di fronte alle quali i partiti hanno accantonato legittimi distinguo permettendo ai governi nazionale e regionali di attuare tutte le misure necessarie, compresa la più vasta campagna di vaccinazione mai effettuata.
In secondo luogo la richiesta di un sostegno inedito alla ripresa produttiva. Ciò ha comportato la condivisione a livello europeo di uno sforzo finanziario senza precedenti e l’accettazione di un programma di riforme su alcune questioni chiave dell’ordinamento italiano che per la radicalità e i tempi imposti non si era mai riusciti ad approvare.
Tra di esse figura la riforma di aspetti centrali del sistema giudiziario italiano, come il processo penale e civile.
I partiti hanno voluto assumere come prioritaria nell’agenda del governo la transizione ecologica per la quale è stato creato un ministero apposito e che ha permesso all’Italia di restare tra le nazioni di testa dell’Unione europea.
Non va dimenticato lo sforzo per risollevare le persone in condizioni disagiate o di fragilità. È stato questo il senso migliore del reddito di cittadinanza, che si è innestato su un percorso avviato da anni nelle politiche nazionali.
Anche la dialettica che si è sviluppata all’interno e tra le forze politiche rispetto alla corsa al riarmo in risposta all’aggressione russa in Ucraina va letta positivamente: era giusto che l’Italia si schierasse senza se e senza ma a fianco degli aggrediti, ed è stato altrettanto giusto che alcune voci autorevoli si siano levate a mitigare un eccesso di zelo atlantista e a ricordare che la Costituzione italiana “ripudia la guerra”.
La sacrilega invasione russa ha fatto deflagrare in Europa una nube malefica che ha ammorbato gli animi e le menti. In Italia i suoi effetti si sono sentiti soprattutto nei media. Vi è stata una corsa a schierarsi quasi si fosse sul campo di battaglia e il dibattito politico è stato piegato alle logiche belliche, i suoi attori divisi tra pro o contro Putin. Non c’è stato più spazio per un naturale confronto nel merito dei temi e gli stessi protagonisti sono stati trascinati, volenti o nolenti, nel gioco del conflitto.
Non è un caso che la stampa straniera abbia subito letto in tal senso la caduta del governo: Draghi avrebbe pagato il prezzo di essere stato il leader europeo più determinato nel sostegno a Zelensky, avanzando il sospetto di un’ingerenza russa su alcuni settori della politica italiana.
L’unità positiva creata da Mattarella è caduta vittima del conflitto nel Donbass.
È questo spirito bellicista che rischia di dominare la campagna elettorale. Ed è il punto cruciale da cui i responsabili politici devono difenderla. È giusto che i partiti oppongano programmi e leader per conquistare il consenso degli elettori. Ma il loro grado di maturità si misurerà sulla capacità di ricomporre le differenze in un disegno comune, cosa che è stata la caratteristica del governo Draghi più apprezzata dagli italiani.
I padri costituenti hanno voluto per l’Italia un sistema parlamentare, per favorire la ricerca di convergenze tra i partiti. L’unità nazionale non è perciò un’eccezione ma l’interpretazione autentica dello spirito della Costituzione.
Una grande coalizione per il benessere dei cittadini e quindi dell’ambiente, dell’educazione, la salute, le infrastrutture, i giovani, gli anziani, i lavoratori, le famiglie sarebbe la risposta migliore alla crisi che il paese sta attraversando e un segnale di pacificazione al resto d’Europa.
Grazie! Articolo interessante e condivisibile.
Basta “pastrocchi” in nome dell’unità, che favoriscono solo la mediocrità. È meglio il rischio di sbagliare alcune scelte, ma sapendo chi le ha fatte, si prende le proprie responsabilità di fronte all’elettorato.