La tragedia della guerra in Ucraina, con il carico d’odio che si porta appresso ma anche con la nostalgia di pace che sta suscitando, ci ha ricordato le non lontane vicende connesse al faticoso percorso che ha portato nel 2006 alla fine del conflitto intestino in Irlanda del Nord, vicende che hanno ispirato un bel film, Il viaggio (UK, 2016). Può sembrare paradossale parlare di cinema in un momento tragico come questo; eppure, rivedere la pellicola di Nick Hamm commuove e colpisce profondamente, proprio adesso, nel suo tratteggiare un percorso di pace giunto a valle di una lunga “guerra civile”, come qualcuno la definì, veicolando significati e sentimenti che ci sono sembrati pertinenti anche nella attuale situazione, in particolare per il messaggio di speranza che trasmette e che, forse, vale la pena cogliere.
I fatti sono noti. Dopo 40 anni di cruente ostilità, con oltre 3500 morti, e dopo un primo tentativo di pace rappresentato dal cosiddetto accordo del Venerdì Santo, nell’ottobre del 2006 i governi di Gran Bretagna e Irlanda organizzarono a St. Andrews, in Scozia, una sessione di colloqui tra i principali esponenti delle fazioni in lotta, nel tentativo di stabilire un accordo definitivo di pace: si trovarono uno di fronte all’altro il partito democratico unionista e il partito repubblicano nazionalista Sinn Féin, ed in particolare i loro storici leader: il pastore presbiteriano Ian Paisley e il repubblicano, cattolico e presunto ex comandante dell’IRA, Martin McGuinness. Acerrimi nemici da sempre, ferocemente arroccati sulle proprie posizioni, essi avevano sempre rifiutato di parlarsi, persino di guardarsi negli occhi. In quel frangente, ad ostacolare il processo di conciliazione sembrava essere soprattutto l’assoluta riottosità di Paisley, noto per il suo aforisma preferito: “mai!”.
Per una serie di circostanze, i due nemici giurati si trovarono costretti a compiere un breve viaggio, ricco di imprevisti e interruzioni, insieme nella stessa automobile (nella realtà, il viaggio avvenne in aereo). Durante il percorso, all’iniziale totale diffidenza e imperterrito scambio di accuse e acide osservazioni, seguirà un’intensa conversazione che farà emergere spiragli nelle rispettive armature, occasione di scoperta reciproca delle “ragioni” di entrambi; uno dei più significativi e drammatici confronti avviene, guarda caso, in un cimitero, in aperta campagna. In realtà nessuno ha mai saputo che cosa i due leader effettivamente si siano detti in quel viaggio, ma il film ricostruisce in modo del tutto credibile quanto potrebbe essere verosimilmente accaduto, anche ricorrendo a dichiarazioni ed interventi, precedenti o successivi, dei protagonisti. Paisley e McGuinness scopriranno di non essere così tanto dissimili tra loro, e inizieranno timidamente a mettere da parte il loro passato e le reciproche barriere ideologiche in favore di accenni di un reale dialogo, anche semplicemente un dialogo umano, con un inatteso reciproco rispetto mai sperimentato prima di allora. Un rispetto che non faceva venir meno le differenze, ma che faceva sì che esse non avevano più l’ultima parola. Poco dopo, per la prima volta, iniziarono ad usare il pronome “noi” in luogo del pronome “io”; la sequenza in cui Paisley utilizza per la prima volta quel termine viene rappresentata in una chiesa immersa nei boschi scozzesi, forse lasciando intendere che se è possibile il “noi” è perché, in qualche modo, si riconosce un “tu” più grande.
Al termine del tragitto i due leader si risolsero a deporre le armi, ed accettarono di condividere il potere nella futura Irlanda del Nord, diventando l’uno primo ministro e l’altro vice primo ministro; diedero anche vita ad una storica e sincera amicizia, ricordata ancora oggi come “chuckle brothers” (i fratelli che ridacchiano).
Le vicende storiche narrate e il modo in cui il film le tratteggia ci sono sembrate interessanti e significative anche per l’attualità: realizzato da autori e da una troupe tecnica irlandesi, girato in Irlanda (non in Scozia dove si svolsero i fatti), in più occasioni il film venne proposto, esplicitamente, come un evento importante sì per la storia del Paese e la sua coscienza collettiva, ma anche come messaggio di concreta speranza per altre analoghe situazioni nel mondo.
La situazione irlandese del tempo e le vicende attuali in Ucraina sono ovviamente molto differenti tra loro: imparagonabile una scellerata guerra d’aggressione, come quella cui stiamo assistendo, alla “guerra a bassa intensità” che si dispiegò in Irlanda del Nord. Tuttavia, si possono riscontrare alcune analogie: in entrambi i casi si sta assistendo, per certi versi, ad un conflitto fratricida, che sta portando divisione dove prima vi era concordia e pacifica convivenza; in entrambi i casi un ruolo importante, non sempre a favore della pace, giocano i dissidi interreligiosi.
Ma, soprattutto, sono la centralità del fattore umano e il valore della persona gli aspetti sottolineati da Il viaggio che più ci hanno colpito, e che ci permettiamo di sottolineare come significativi, anche in questo frangente, come fattori proposti in chiave di contributo per una via di uscita.
Pur non tralasciando minimamente i decisivi fattori geopolitici ed economici dei processi connessi alla guerra e alla pace, il film sottolinea soprattutto le dinamiche umane, financo personali della vicenda narrata: tali dinamiche sono colte come aspetti che condizionano ed orientano le iniziative e le decisioni messe in campo nei percorsi politici con cui indissolubilmente si intrecciano. Al di là degli orientamenti ideologici, degli interessi economici, delle strategie militari, sono i fattori umani che vengono proposti come i veri motori e motivatori di scelte e decisioni. Nel caso di specie, un imprevisto è stata occasione, per i due contendenti, di guardarsi negli occhi, di andare al di là dei muri eretti tra di loro da decenni, di intravedere possibili percorsi condivisi. Un po’ come ne ebbe a dire il recensore della pellicola sul Manifesto del 30 marzo 2017: “il racconto politico cede il passo alle vicende di singoli individui; e il mondo dentro una macchina scompare al cospetto di stati emotivi e sentimenti personali”.
Possiamo osare pensare che un percorso simile sia possibile, anche oggi, anche stavolta? Che gli uomini in campo, le singole persone coinvolte, possano considerare di percorrerlo? Ma questo in fondo non vale per ognuno di noi, nelle nostre piccole guerre quotidiane, nel tentativo, o nella grazia, di intraprendere un percorso di pace con il nostro prossimo? Magari cercando di uscire un po’ da sé stessi, comprendendo o accettando il punto di vista altrui, o accogliendo un aiuto in questo impegnativo viaggio? È ingenuo questo punto di vista? Eppure, quante volte riscontriamo, nei più svariati campi, quanto conti il “fattore umano”, quanto pesino, anche nei processi più complessi e impersonali, le caratteristiche e le motivazioni del singolo, il suo approccio, il suo “animo”. Non è anche a questo livello che il “mai” può lasciar strada al “perché no?”, l’”io” al “noi”? Non è forse vero che le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo?