La reviviscenza delle paure apocalittiche è sotto osservazione da anni da parte de La Civiltà Cattolica, quindicinale dei gesuiti, diretto da Antonio Spadaro. Gli articoli dedicati a questo argomento sono stati raccolti in un quaderno, nella collana “Accenti”, dal titolo “Apocalisse”, Ne diamo conto, in sintesi e parzialmente, nelle note che seguono, per evidenziare alcuni riflessi culturali e politici del tema.
TRA PAURA E SPERANZA
La storia del termine “apocalisse” vive di due significati: “rivelazione” e “catastrofe”. Parlare di apocalisse significa parlare del valore della realtà, davanti a una rivelazione che ne sveli il senso o davanti alla sua fine: si tratta cioè del futuro in maniera radicale. Di fronte a tale rivelazione l’uomo è soggetto alla paura, e l’autore dell’Apocalisse, secondo Civiltà Cattolica, coglie appieno questo fenomeno umano, indicando che il superamento della paura è la speranza, intesa come una spinta verso il futuro, verso un meglio non ancora realizzato. La fine del mondo, nella Bibbia, significa la scomparsa del mondo nel suo stato attuale: esso farà posto a un “tutto” nuovo, radunato nella vita e nell’amore di Cristo. La speranza del cristiano non è un sogno, un’utopia: essa si attuerà di fatto, e la sua realizzazione supererà ogni desiderio, nella risurrezione di Gesù. L’apocalittica appare dunque come parte integrante del messaggio salvifico.
UNO SCANDALO PER LA CULTURA CONTEMPORANEA
Da qualche decennio, un genere letterario e cinematografico è andato sviluppandosi in modo esponenziale: il genere “post-apocalittico”, innescato dagli ordigni sganciati su Hiroshima e Nagasaki. Vi si descrive la situazione dell’umanità in seguito a catastrofi di grandi dimensioni, a prescindere dai motivi che le hanno generate; gli autori, oltre a riflettere sul futuro, mettono il dito nelle piaghe del nostro presente. Una visione fortemente problematica, in cui emerge la paura dell’irrazionale, di ciò che sfugge al controllo. Una visione che, tuttavia, magari di riflesso, sembra far affiorare un nervo scoperto: per una cultura contemporanea che idolatra la scienza e la conoscenza verificabile, l’apocalittica (che sia espressa, a suo modo, dalla fiction catastrofica, o che sia più autenticamente riferita all’annuncio biblico) rappresenta un richiamo a una realtà che sfida i nostri calcoli, testimonia un altro mondo che sfugge ai nostri progetti e al determinismo scientifico.
Anche Gesù, secondo gli autori del quaderno, aveva una forte visione apocalittica: molte delle sue parabole mettono in evidenza l’inizio della fine del tempo e guardano al sorgere del nuovo; tuttavia in esse non domina la paura, chi trova il Regno è come chi si imbatte in un bene cercato a lungo. Queste parabole inseriscono nel quotidiano una gioiosa anticipazione del futuro: il modo di vivere apocalittico è consapevole dell’impegno di Dio a fare, dentro di noi e nella realtà, cieli nuovi e terra nuova; oltre il “già” per raggiungere il “non ancora”.
CULTO DELL’APOCALISSE E MANICHEISMO POLITICO NEGLI USA: LA GENESI DELLA PAURA
Specialmente in alcuni governi degli Stati Uniti degli ultimi decenni, si può notare un ruolo sempre più incisivo della religione nei processi elettorali e politici; a tratti questa compenetrazione tra politica, morale e religione ha assunto un linguaggio manicheo che suddivide la realtà tra Bene e Male assoluti. Questi atteggiamenti, secondo Civiltà Cattolica, si basano soprattutto sui princìpi fondamentalisti cristiano-evangelici dell’inizio del secolo scorso, che si sono man mano radicalizzati; certe posizioni “teocon”, come quella ispirata a Lyman Stewart che, a inizio ‘900, pubblicò 12 volumi intitolati I fondamentali (Fundamentals), considerano gli Stati Uniti una nazione benedetta da Dio.
Nel corso degli anni più recenti queste idee si sono alimentate con la stigmatizzazione di nemici che vengono “demonizzati”. Inoltre, le interpretazioni bibliche riconducibili a tali posizioni si sono spesso spinte verso letture decontestualizzate e ultra – letterali dei testi sacri: esse collocano l’uomo in una situazione di “dominio” sul creato, per cui i disastri naturali, i cambiamenti climatici e la crisi ecologica, non sono sintomi del malessere creato dall’uomo, ma sono considerati segni che confermano una speranza totalmente immanente in “cieli nuovi e terra nuova”.
Il pastore John Rushdoony (1916-2001) sostiene la necessità “teocratica” di sottomettere lo Stato alla Bibbia, con una logica non molto diversa da quella che ispira il fondamentalismo islamico. Si parla inoltre di “teologia della prosperità”, che ipotizza un Dio che desidera che i credenti siano fisicamente in salute, oltre che materialmente ricchi. Come il pastore Norman Vincent Peale (1898-1993), nel suo libro Il potere del pensiero positivo (1952), o i molti telepredicatori che mescolano marketing, direzione strategica e predicazione, concentrandosi più sul successo personale che sulla salvezza.
Si è sviluppata inoltre una forma di ecumenismo tra fondamentalismo evangelicale e integralismo cattolico, accomunati dalla medesima volontà di un’influenza religiosa diretta sulla dimensione politica, che avviene sul terreno di temi come l’aborto, il matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’educazione religiosa nelle scuole. Ad esempio Church Militant, piattaforma digitale statunitense di successo, ha creato una precisa analogia tra Donald Trump e Costantino: lo schema teopolitico fondamentalista vuole instaurare il regno di una divinità qui e ora.
Su quale sentimento fa leva l’alleanza tra politica e fondamentalismo religioso? Sulla paura, sul timore del caos e della frattura dell’ordine costituito; anzi, essa funziona proprio grazie al caos percepito. La strategia è quella di innalzare i toni della conflittualità, enfatizzare il disordine, agitare gli animi del popolo con la proiezione di scenari inquietanti al di là di ogni realismo; la religione diventerebbe garante dell’ordine, e una parte politica ne incarnerebbe le esigenze. L’appello all’apocalisse giustifica il potere voluto da un dio o colluso con un dio.
FRANCESCO: OLTRE LA PAURA, LA MISERICORDIA
Papa Francesco svuota dall’interno la macchina narrativa della paura generata dai millenarismi settari e dal “dominionismo”, che prepara all’apocalisse riduttivamente intesa e allo “scontro finale”. Egli inoltre intende spezzare il legame organico tra cultura, politica, istituzioni e Chiesa, e sostiene con forza che le religioni non possono considerare alcuni come nemici. Bergoglio rifiuta radicalmente l’idea dell’attuazione “letterale” del Regno di Dio sulla terra, inoltre egli svolge una sistematica contro narrazione rispetto alla manipolazione di questa stagione dell’ansia e dell’insicurezza. La sottolineatura della misericordia come attributo fondamentale di Dio esprime questa esigenza.