È singolare che in un tempo così duro sia tornata di attualità la parola “gentilezza”. A indicarla alla coscienza collettiva è stato papa Francesco, che nell’ultima enciclica, “Fratelli tutti”, scrive: «La gentilezza è una liberazione dalla crudeltà che a volte penetra le relazioni umane, dall’ansietà che non ci lascia pensare agli altri, dall’urgenza distratta che ignora che anche gli altri hanno diritto a essere felici».
Lo si potrebbe liquidare come un fervorino moralistico, un invito alle buone maniere che non guasta mai. La “Fratelli tutti” aggiunge che non si tratta di galateo o di buone maniere, ma di qualcosa di decisivo, che «quando si fa cultura in una società trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e di confrontare le idee…» (Fratelli tutti .224)
Chi scrive insegna lettere in un istituto tecnico. Spiegando Dante ci si imbatte frequentemente in espressioni quali «Amor ch’al cor gentil ratto s’apprende» e in «Donne che avete intelletto d’amore». Sorge spontaneo chiedersi cosa risuoni all’orecchio contemporaneo, giovane o meno, nel sentire parlare di gentilezza
Val la pena approfondire la questione, anche perché, in questi giorni, trattare bene, con gentilezza, non è certo una scelta facile. Per temperamento, clima politico o per la frustrazione generata dalla situazione oggettiva e dall’inefficienza e isteria dilagante, verrebbe più facile combattere e aggredire quei molti che discutono o scrivono (su dpcm, delibere, circolari, disposizioni) provvedimenti cavillosi, spesso inutili e/o dannosi. Ma anche il vicino di casa con fantasiose ipotesi complottiste, o il parente lamentoso, il collega disfattista, lo studente che si crede in vacanza…Veramente «Oggi raramente si trovano tempo ed energie disponibili per soffermarsi a trattare bene gli altri…Eppure ogni tanto si presenta il miracolo di una persona gentile». (Fratelli tutti. 224)
È davvero possibile e costruttivo fare spazio al pensiero degli altri, anche se distante o divergente, provare a prendersi cura, con dedizione, delle situazioni in cui ci imbattiamo, non per formalismi di buone maniere, ma per una decisione, un atto di volontà, una libera scelta?
Secondo papa Francesco: «è ancora possibile scegliere di esercitare la gentilezza. Ci sono persone che lo fanno e diventano stelle in mezzo all’oscurità» (Fratelli tutti. 222).
Del resto assistiamo, nel mondo, ad alcuni esempi di leadership femminile che sembra percorrere questa ipotesi, una di questi è la primo ministro neo-zelandese Jacinta Ardern, che va dicendo «Siate forti e siate gentili», pare con successo.
Si può allora immaginare un modello di gestione del potere meno machista e più “gentile”: aperto, accudente, pronto a far spazio, ad accogliere il pensiero dell’altro e farne una risorsa, generativa di nuove idee, ipotesi costruttive, sintesi inedite.
La sfida è comprendere che non si tratta di un’attitudine spontanea o di un istinto innato, né nell’uomo, né nella donna, ma è frutto di un pensiero, una decisione, un lavoro, un aver fatto esperienza (perché ci è accaduto di esserne fatti gratuitamente oggetto), del vantaggio del mettersi in questa posizione.
Per questo è estremamente interessante incontrare qualcuno che ce lo testimoni.